Vincere le amministrative 2016 è tutto ciò che conta per i partiti ed i candidati. Un anno in cui andranno al voto le grandi città e non solo; ben 1322 comuni andranno alle urne per scegliere le amministrazioni che guideranno i comuni di circa 10 milioni di italiani. Tra scandali, strategie, scelta dei candidati e programmi, la campagna elettorale è iniziata da tempo, forse mai finita, come da buona campagna elettorale permanente.
Come vincere le amministrative 2016 ? Organizzando una campagna elettorale che abbia come caposaldo i cinque punti che rappresentano la base di una strategia vincente.
Vincere le amministrative 2016 è la speranza delle principali fazioni politiche in Italia: Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Forza Italia, Lega Nord rappresentano a livello nazionale l’80% dell’elettorato, ma cosa accade sui territori?
Spesso la nascita di liste civiche e vari accorpamenti a sostengo del partito di riferimento spostano l’ago della bilancia. Grazie ai nomi più conosciuti e ai singoli elettorati che gli stessi riescono a portare al voto, le liste civiche rappresentano un elemento strategico a livello locale. Come si stanno muovendo i principali partiti?
Partito Democratico : la configurazione a “Partito Unico” o “Partito della Nazione” tacitamente intrapresa dal partito del segretario-premier continua a palesarsi, nonostante le smentite dem. La strategia adottata sembra essere mirata a convergere al riferimento Nazionale, coalizioni con uomini e liste tendenti al mondo centrista (a volte centrodestra), scelta di candidati che invadano il target su cui sono posizionati i maggiori competitor, vedi Roberto Giachetti il più “grillino” dei democratici, oppure Sala il più centrista in una Città che eccezion fatta per la parentesi Pisapia ha una tradizione di centrodestra. Il peso del PD è esercitato dal premier e dal suo staff di comunicazione che proprio in questi giorni esaltano il lavoro svolto in due anni di governo. Le parole chiave per vincere la campagna per le amministrative 2016 saranno: “cambiamento”, “il meglio deve ancora venire”, e tutto ciò che riporterà all’emozione di aver intrapreso un cambiamento che richiede forza e volontà di continuare sulla strada giusta.
Forza Italia (Centrodestra) : qui occorre parlare di centrodestra e non del singolo partito. L’era del PDL è finito, il tentativo di tornare all’alba di FI si è rivelato errore strategico di posizionamento, più che di alba si può parlare di tramonto. Lega Nord su questo errore è riuscita a posizionarsi presso l’elettorato dell’area, promuovendo valori un tempo espressi da FI. Lavoro, immigrazione e riforma delle pensioni sono i temi cult di Salvini che, non riuscendo ad ereditare in maniera concorde la premiership, ha necessità con il suo 16% di creare alleanze con Forza Italia, Fratelli d’Italia e liste civiche. Che Salvini possa fare la differenza, e che sia il suo intento farla, è evidente ed evidenziabile dal graduale cambiamento di immagine: camicia bianca o azzurra senza cravatta, maniche risvoltate, sorriso, e trasversalità nell’utilizzo dei canali di comunicazione, al posto di felpe, volto serio e televisione per 20 ore a settimana. Il carattere fortemente territoriale potrebbe consentire
alla Lega di acquisire nuovo consenso. L’errore di quest’area politico-elettorale potrebbe essere quella di rimarcare gli errori del governo Renzi, andando all’attacco delle congetture nazionali e sovranazionali piuttosto che aderire alle richieste dei singoli territori. Programmi snelli e fattibili, candidati nuovi, volti rassicuranti e curriculum forti possono rappresentare la scelta migliore da fare, ma pare che ci siano troppi attriti all’interno della possibile coalizione (guardare il caso Dalla Chiesa). L’errore in cui probabilmente incapperà la coalizione di centro-destra, come tutte le opposizioni, sarà quella di fare il tiro al bersaglio contro la maggioranza, errore che sta compiendo in maniera scellerata Corrado Passera a Milano con un’inspiegabile campagna contro la sinistra.
Movimento 5 Stelle, il partito delle sciagure prima delle elezioni. Che siano i media? Non si può dare sempre la colpa ad altri. Il M5S sembra sempre mancare di una formalizzazione di processi e ruoli, il “direttorio” non è sufficiente, servono competenze specifiche. Tra un’elezione e l’altra i sondaggi danno il Movimento sempre in grande spolvero, poco prima delle elezioni succede di tutto. Il caso Quarto, le dichiarazioni sul blog circa unioni civili-stepchild adoption (ancora inspiegabile come il blog non sia uno strumento per la comunicazione interna, spostando quella istituzionale sul sito www.movimento5stelle.it ) e la mancata ufficialità di liste e candidati nell’80% dei casi, sono operazioni incredibilmente dannose. Il Movimento per vincere le amministrative 2016 dovrà lavorare in ottica futura, creando procedure e ruoli stabili. Allo stato attuale può e deve contare su nomi spendibili sui territori, affidabili e incensurati (come nel suo stile). Serve inoltre imbastire un messaggio di novità, non di sfida al vecchio sistema ma di rilancio di un nuovo modo di vedere la politica. Messaggi positivi, in contrapposizione con il posizionamento sin qui avuto, ora occupato da più movimenti e partiti. Distaccarsi dall’ottica del populismo in cui i media hanno intrappolato Grillo & Co. con programmi semplici, messaggi sintetici, lineari e inequivocabili (basta con iperbole e fraintendibile). Al resto il Movimento provvede con una base, quella dell’attivismo, radicale e capillare su tutto il territorio nazionale. Inoltre mi sentirei di dare un consiglio: puntare meno sulle grandi città, Roma rappresenterà il più grande sgambetto della storia politica del Movimento, meglio e più raggiungibile l’obbiettivo di tanti piccoli comuni. L’esposizione mediatica di Roma, Milano, Torino, richiede spalle forti, e per una creatura appena nata non è tempo. Un coordinamento nazionale ed una supervisione locale potrebbero migliorare la comunicazione per adesso totalmente assente.
In linea generale per vincere le amministrative 2016 , utilizzando una metafora tanto condivisa, quella sportiva, la maggioranza sosterrà di aver vinto perchè più forte, le opposizioni, riusciranno a vincere solo se non daranno la colpa all’arbitro, alla sfortuna, o screditando la vittoria degli avversari, ma garantendo di essere più forti, di migliorare, per vincere la sfida che li attende.
Costruire una campagna elettorale oggi che viviamo nel tempo della campagna elettorale permanente , un tempo in cui i partiti ed i loro esponenti sono alla continua e costante ricerca di consenso è sempre più complesso. Sollecitati dalla innumerevole produzione di sondaggi elettorali, spesso così rapidi da prevedere un campionamento assolutamente insufficiente (soprattutto su scala nazionale) , i partiti fanno attenzione a qualsiasi evento, dibattito, legge varata, emendamento proposto che può apportare una variazione del famoso ” zero-virgola” la lancetta del consenso-dissenso.
Allora come costruire una campagna elettorale di questi tempi ?
Costruire una campagna elettorale significa intanto ragionare su un’ottica “permanente” ma al contempo deve resistere alle spinte di sondaggi ed eventi. La coerenza paga, sempre. Una campagna amministrativa sarà diversa da una corsa alle regionali o alle politiche. Analizzare il contesto, conoscerlo, è il primo obbiettivo, in questa fase il sondaggio, ben strutturato e campionato in base alle esigenze del committente, potrà rivelarsi valido. E’ consigliabile fare un’unica analisi iniziale e monitorare mensilmente le evoluzioni (non settimanalmente è uno spreco di risorse e non ha alcun senso in termini di variazioni). L’analisi fatta ci permetterà di conoscere elettorato, il suo modo di informarsi, strumenti per raggiungere il target, posizionarsi davanti a diverse categorie di elettori, conoscerne problematiche e opportunità.
Una campagna elettorale richiede l’attivazione di strumenti di comunicazione che, come riporto nel mio libro, sono vari e tutti necessari, nessuno escluso. Newsletter, presenza in pubblico ed in tv, social, blog, radio, sono alcuni strumenti di comunicazione validi per veicolare i propri valori, il proprio programma e promuovere il proprio partito.
Sintetizzare come costruire una campagna elettorale in un post è assolutamente impossibile, fondamentale però è riconoscere alcuni punti da cui partire, le leve fondamentali: politico, programma, persone (elettorato), partito. Prendiamo in considerazione 5 punti che reputo fondamentali per la costruzione di una campagna elettorale efficace.
1- Analisi dell’elettorato. Una buona analisi demografica è la base di partenza. Ad essa si devono affiancare dati sociografici che indichino tendenze, scolarizzazione, metodi di acquisizione delle informazioni e altri fattori che inquadrino al meglio il proprio interlocutore.
2- Posizionamento del partito. Ogni partito ha un posizionamento presso uno specifico target elettorale. Riuscire ad ottenere un posizionamento valido presso più target significa avere un messaggio (tradotto nel simbolo, nel candidato(i), nel programma ecc.) efficace per comunicare a elettori differenti per ovvie e naturali variabili personali.
3-Coerenza del politico. Il candidato deve essere capace di veicolare con coerenza un messaggio unico quanto trasversale. Cangiante, camaleontico ma coerente, contraddizione? No, un ottimo candidato deve essere capace di parlare con chiunque, adeguare il suo modo, il suo stile, mantenendo però immutata la sostanza.
4-Comunicare il programma. Spesso sottovalutato, il programma elettorale rappresenterebbe nel marketing tradizionale la leva del prodotto. Ciò che viene acquistato direttamente dall’elettore è proprio il programma. Un buon programma deve rappresentare un breve elenco puntato che pone soluzioni fattibili, evidenti e condivisibili a problemi presenti sul territorio e presso l’elettorato.
5- Buona politica. L’elettorato ha compreso da ormai un decennio che il candidato-partito spesso si propone bene solo comunicativamente con “le solite promesse”, bravo nelle parole non nei fatti, buono nella forma non nella sostanza. Avendo compreso tutto ciò siamo arrivati a livelli di astensione che impone interrogarsi su: sono/posso essere un buon politico? posso davvero agire con passione e credo per il bene della collettività che andrà alle urne? Se così non fosse il consiglio è uno solo: restatene alla larga e trovatevi un lavoro.
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Politica e fiducia è un nuovo binomio imprescindibile per gli indici presi in considerazione da Eurostat, Istat e maggiori centri di statistica. Prendete un qualunque rapporto di coppia, immaginate che uno dei due partner sia infedele, ritardatario, poco attento. Supponete che l’altro continui a dare fiducia, a sperare in un cambiamento, a sognare la propria metà fedele, puntuale ed attenta. Ecco, avete davanti a voi il rapporto tra politica e cittadinanza in Italia. L’ultimo dato di Eurostat infatti ci consegna un’Italia infedele, ritardataria e poco attenta alle richieste della cittadinanza. E’ facile che nel Paese di Tonino Guerra e della sua “era dell’ottimismo” si guardi più alle parole che non ai numeri. Le prime sono descrittive, suscitano emozioni, incantano e raccontano. I secondi sono aridi, secchi, difficilmente interpretabili, almeno fino a quando “la matematica non è opinione”.
Eppure questo Paese continua ad essere ritardatario, ci avevano detto 2012 e siamo arrivati nel 2016. Ci ritroviamo quindi ad inseguire, le big d’Europa, come al solito. Si legge sulla relazione di Eurostat che l’Italia è il fanalino di coda tra le grandi d’Europa, la crisi nel nostro Paese è più lunga e dura che negli altri Stati, unico segnale positivo, la fiducia, gli italiani continuano ad avere fiducia, sempre di più, anche dei tedeschi che hanno un partner fedele, attento e puntuale. L’occupazione cresce ovunque, in Italia meno degli altri Paesi, quella giovanile poi è un disastro, ci colloca all’ultimo posto in Europa. La produzione industriale recupera un 3%, Renzi direbbe #italiariparte , certo, è previsto e prevedibile, nell’economica post capitalista funziona così, con cicli descritti da due estremi parabolici, crescita, decrescita vs crisi, ripresa. Eppure l’Italia “col segno più” ha un 3% che rispetto a Francia (8%), Germania (27%), Spagna (7,5%) e Gran Bretagna (5,4%) è un bicchiere mezzo vuoto.
Ultimi anche in edilizia ed infrastrutture, in Europa la crescita marcia sulla doppia cifra, in Italia anche, ma sono subito a destra della virgola.
Ma cresce la fiducia, e come se cresce. Siamo sicuri, sempre più , che il nostro partner non ci tradisca, sia attento a noi, sia puntuale, perchè dubitare, infondo a noi ci piace così, cornuti e mazziati.
Estratto da ‘ Marketing 2.0 e social media, nuovi strumenti e strategie per il consenso politico’ di Alberto Siculella.
Comunicazione politica concettualmente nasce con l’idea stessa di politica, comunicare significa fare politica, fare politica significa comunicare. Dall’età greca, nella quale si colloca la nascita del concetto di politica, derivante dal termine πόλις, città, assistiamo nel corso dei secoli ad un continuo sviluppo in parallelo dei concetti di politica e comunicazione. Indissolubilmente legata da un rapporto interdipendente, la comunicazione è l’anima della politica, con essa si coltivano relazioni istituzionali, si fondano le basi per il coinvolgimento della cittadinanza e si cerca il voto, dunque il consenso, tradotto in scelta, nomina, elezione. I greci, per i quali la politica doveva essere e rappresentare la soluzione alla gestione delle città, già discutevano sulle armi di “persuasione” capaci di attirare il consenso, per assegnare, agli eletti, il potere di legiferare, amministrare e governare la collettività.Fu Aristotele il primo a scrivere di “retorica” nella sua opera ad essa dedicata. Retorica intesa come capacità di persuadere l’uditore. Opera, quella di Aristotele, che segna un percorso di studi, lungo, intenso, che proporrà un’evoluzione incessante e vedrà nel lavoro del filosofo greco, discepolo di Platone, la base più importante degli studi di comunicazione, associati al consenso politico.
La cultura greca e quella romana entrano in contatto nel primo secolo a.C. influenzandosi a vicenda. La retorica si modella su nuove basi e concezioni; le piazze, il contatto diretto e nuovi modelli di gestione della “cosa pubblica” inducono a concentrarsi sull’oratoria, cioè l’arte del parlare in pubblico. Valida per il “cursus honorum” l’oratoria latina, di cui uno dei maggiori esponenti fu Marco Tullio Cicerone, venne politicamente messa alla prova, nei discorsi pronunciati presso il Senato. Cicerone oltre a sostenere che la comunicazione debba: probare, delectare, flectere, fu il primo ad utilizzare la tecnica associativa, cioè procedere nell’orazione, associando agli argomenti un luogo che conosceva, in modo da scomporre in modo ordinato i temi, ricordarli ed enunciarli in maniera sistematica tenendo a memoria l’intero discorso.
Per tutto il medioevo nel rapporto tra politica e comunicazione subentra una variabile non da poco: la Chiesa. Appare dunque fondamentale considerare l’operato politico come filo diretto con il volere di Dio, la comunicazione vincente è quella che fa appello a quest’ultimo. Superando il medioevo appare una frattura evidenziata da Machiavelli, la cui opera di straordinaria portata storica e sociale, “il Principe”, slega l’operato politico da una visione divina.“Auctoritas, non veritas, facit legem, veritas non auctoritas facit jus” espressione de “Il Leviatano” di Thomas Hobbes, esprime il concetto per cui esiste una ragione di Stato, esiste un’autorità prevalente che fa le leggi in nome della stessa autorità.
Arrivando ai tempi più recenti, il dibattito ottocentesco si polarizza su due versanti ben diversi: la visione liberale e quella socialista. Di questo periodo sono eccelsi elaborati come “Ricchezza delle nazioni” di Adam Smith e “l’individuo e lo Stato” di Spencer. Le forme di governo, gli schemi macro economici, i sistemi sovranazionali iniziano ad avere concretezza in un contesto molto dinamico e ricco di svolte epocali, come le rivoluzioni industriali, che ci portano nel ‘900. In questo secolo la politica, segnata dalla ricerca ossessiva della realizzazione di nazionalismi, adotta una comunicazione basata sulla propaganda di regime. Mimica e toni solenni, parole scandite e semplici, oratore posizionato in alto rispetto alle folle e parole chiave all’insegna dell’appartenenza nazionale, che tocca le corde del patriottismo e del riguardo verso lo Stato.
Dopo questo excursus storico, possiamo sostenere che la politica, mediante le arti oratorie, ha sempre visto nella comunicazione la possibilità di attirare il consenso, valido per governare. Ciò si traduce più facilmente con il termine propaganda, che Treccani spiega essere: “ azione che tende a influire sull’opinione pubblica e i mezzi con cui viene svolta (…) al fine di ottenere una risposta che favorisca gli intenti di chi lo mette in atto”. Viene spiegato in oltre che la propaganda “ utilizza tecniche comunicative che richiedono competenze professionali e accesso ai mezzi di comunicazione, specialmente ai mass media”.E’ dunque chiaro che la comunicazione, dalle forme di pubblicità commerciale, alla propaganda, passando per la comunicazione politica e tutte le altre forme di comunicazione, serva per tanti scopi.
Quando l’obiettivo è il consenso, ad acquistare tanto quanto a votare, la comunicazione è di tipo persuasivo.
La comunicazione politica in tal senso può essere osservata già nei suoi primi passi tramite il concetto di propaganda.
Nel 1950, Jean-Marie Domenach, scrive il testo “La propaganda politica”, nel quale, in poco più di cento pagine, oltre a trattare degli esempi, elenca delle regole generali, che appaiono più attuali che mai:
Il giornalista francese ci consegna dunque una propaganda basata su una comunicazione semplice, definita in pochi punti con un nemico unico, per far si che ci sia sempre un duello, una partita tra una parte a cui ci si aggrappa e l’altra che si odia. Una notizia esagerata entra più facilmente nella mente delle persone, la sua deformazione quindi la possibilità di offrire una realtà distorta non è un rischio ma un’opportunità. L’orchestrazione invece è un processo che si basa sulla ripetizione continua e sul coinvolgimento intorno a questa ripetizione di tutti gli attori coinvolgibili. A tal proposito, Joseph Goebbels, ministro della propaganda del terzo reich, scrisse “La Chiesa cattolica resiste perché ripete le stesse cose da duemila anni. Lo Stato nazionalsocialista dovrà fare altrettanto”. Il concetto di trasfusione poi, segue la regola per cui non si possa fare propaganda, costruire un percorso, dare valore alla propria tesi partendo dal nulla. Infine unanimità e contagio sono regole complementari, secondo le quali, dare l’impressione di unanimità rende ulteriormente estendibile per contagio l’opinione.
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La propaganda jihadista è il cuore di una guerra che si può vincere solo con l’intelligenza. Un esercito iper frammentato in piccolissime cellule, tenute vive qui e lì da finanziamenti illeciti, coordinate da un network di cui ormai si conoscono i dettagliNel corso degli ultimi anni abbiamo imparato a conoscere la parola ISIS (Islamic State of Iraq and Syria), la sua nascita si deve storicamente all’invasione americana dell’Iraq. L’ISIS infatti nasce come movimento di opposizione all’occupazione americana ed al governo sciita sostenuto dagli stessi USA. Nel corso del tempo, per vicende politiche e militari che non riguardano gli obbiettivi di questo post, il gruppo iracheno interviene in Siria nella guerra civile. Questa premessa ci aiuta a capire qualcosa in più circa la formazione, l’alba del fenomeno ISIS di cui oggi noi tutti drammaticamente sentiamo parlare, e che probabilmente conosciamo troppo poco. Per approfondire ritengo abbastanza adeguata e neutrale la pagina di Wikipedia dedicata all’ISIS . Analizzati i motivi, i modi della nascita del gruppo, la cui missione era opporsi all’invasione americana, scopriamo insieme come e quanto abbia inciso la propaganda jihadista nella diffusione dell’ISIS.
Molti consulenti politici vedono nella propaganda alcune regole fisse, le quali determinano le linee guida per la riuscita di un piano di comunicazione politica volta al consenso. L’ISIS evidenzia come la sua lotta al nemico americano, derivi da una profonda conoscenza del nemico stesso. Ne acquisisce informazioni, strumenti, risorse, nozioni, e spesso l’alunno supera il maestro.
La propaganda necessità di:
1- Nemico unico – L’America ed in essa si ritrovano tutte le sfumature legate al mondo occidentale (religione differente, capitalismo, tradizioni ecc.)
2- Venerazione del leader – in questo caso oltre ai fondatori si parla di una venerazione religiosa, nel nome di Allah tutto è lecito, nulla è escluso.
3- Bastone e carota – Chi si oppone alla venerazione del leader, chi non si schiera dalla parte “giusta”, viene punito senza pietà, chi abbraccia la mission del gruppo viene premiato, agevolato.
4- Orchestrazione – La comunicazione deve essere ripetitiva e ben gestita in tutti i suoi aspetti, poche parole chiave ripetute all’infinito, ed amplificate da tutti gli strumenti disponibili. Il ministro della propaganda del terzo reich, Joseph Paul Goebbels, che in quanto a comunicazione politica e propaganda evidentemente ne sapeva qualcosa, sosteneva che la Chiesa è in piedi da duemila anni perchè ripete da due millenni le stesse cose, ovunque e tramite qualunque struemento disponibile.
5- Unanimità e contagio – Scene trionfali, applausi, immagini di gloria e vittoria, l’esaltazione positiva degli aspetti proposti politicamente, permettono di rendere l’immagine vincente.
Queste 5 regole fondamentali della propaganda sono facilmente riscontrabili nell’ottima analisi, esposta in una puntata speciale, di Piazza Pulita dal titolo “Stato islamico, la nascita di un format” -un’attenta analisi del format della propaganda jihadista.
E’ evidente che il tema è molto più complesso, e che in questa sede si ritiene opportuno astenersi dalle valutazioni socio-politiche. La propaganda resta però uno strumento utilizzato dall’ISIS per espandersi e rafforzarsi. Sul piano della comunicazione, resti ben inteso, scindendo completamente dalle scelte strategiche e dall’autorevolezza delle istituzioni nazionali ed internazionali, come erodere il consenso di questo gruppo terroristico con cellule sparse ovunque ?
Limitare l’impatto comunicativo – Nella guerra che si sta affrontando il profilo psicologico è molto rilevante, al di la delle presunte droghe assunte dai terroristi, è evidente che solo un profilo malato possa muovere una persona a farsi saltare in aria. Video diffusi ovunque, speciali tv, radio e giornali, alimentano l’ego malato di persone in via di compiere il “gesto estremo”. La conta dei morti, il momento di gloria del terrorista, l’essersi reso martire in nome di Allah, sono benzina sul fuoco narcisista di tali soggetti. Bannare i profili sui social, interrompere la capacità trasmissiva dei messaggi nella rete è un dovere delle istituzioni oltre che una soluzione più facile (tecnicamente) di quanto si possa pensare, evitare gli speciali un po meno.
Carota e carota – Resti ancora ben inteso, solo comunicativamente parlando, deve passare il messaggio che l’odiato occidente ti premia, non ti emargina, ti da una possibilità di riscatto, di vita in libertà. Comunicare odio, repulsione, rabbia, voglia di rivincita sviluppa una reazione emotiva uguale e contraria.
Campagna di coinvolgimento comunità islamica – Diciamoci la verità, la comunità islamica ha fatto ben poco; è ora di comunicare in maniera massiccia e coinvolgente a tutta la popolazione islamica che è tempo di dichiarare la sua totale estraneità al concetto di guerra santa, scomunicando, emarginando le frange più estreme. Insomma, una contro-propaganda.
Insomma, questa è una guerra che va combattuta con armi diverse, una fra tutte l’intelligenza. Guarda qui la puntata del TG LEONARDO in cui si riassume la necessità dell’impiego di risorse intellettuali nella guerra al terrorismo.
La ridondanza di termini, le frasi spot, la sintesi dei concetti attraverso hashtag e slogan, rappresentano un must della comunicazione politica di oggi. Efficace? Bel punto di domanda!
Anche la comunicazione politica, come tutte le forme di comunicazione volte al consenso, vede nella ripetitività di alcuni concetti, la possibilità di essere assorbiti e ricordati presso il target (in questo caso elettorato). Spesso però si possono trasformare in veri e propri boomerang, cavalli di battaglia che identificano un personaggio politico non certo per aspetti positivi. Chi studia la comunicazione politica potrà quindi affermare che non è concesso dare adito ad equivoci, ambivalenze o concedere il fianco a possibili distorsioni. Celebri sono i casi del senatore Razzi con le sue frasi “confidenziali”, le metafore di Bersani (rese celebre da Maurizio Crozza) e gli aforismi di Di Pietro.
Nella comunicazione politica vanno preferite frasi semplici, inequivocabili, ripetute su un certo tema e non spalmate su qualunque argomento. Vediamo ora alcune delle frasi che nel 2015 si sono ripetute più volte, in maniera del tutto approssimativa, che hanno appesantito concetti e personaggi che le hanno espresse.
1- ‘ non ci stiamo alla politica del tanto meglio tanto peggio. ‘
Un must per Gasparri e simili, cosa significhi ancora non si è capito.
2- ‘ siamo per la politica del cambiamento ‘
Come il prezzemolo, ovunque. Certo che cambia, tutto cambia ma cambiamento non è sinonimo di miglioramento e allora?
3- ‘ la luce infondo al tunnel ‘
Chiunque sia in maggioranza e vuole dispensare ottimismo ripete il mantra: “la luce si inizia a vedere”, che sia la luce della fine di un tunnel o quella del treno che ci viene contro non è dato saperlo.
4- ‘ la volta buona ‘
È l’hashtag di battaglia di Matteo Renzi , anche qui il vago orizzonte ci obbliga ad una domanda: la volta buona per cosa? Nonostante uno staff che cura ottimamente la comunicazione politica di Renzi, sarebbe consigliabile maggiore cura verso le concretezze a cui l’emisfero emozionale (mosso da concetti come “la volta buona”) deve rispondere.
5- ‘ l’Italia cambia verso ‘
Pay-off di matrice renziana, se fosse vero credo si riferisca della famosa posizione 69 , come la cambi…
6- ‘ bisogna fare appello ad un senso di responsabilità ‘
Forse non è chiaro, essere Parlamentari della Repubblica Italiana è La Responsabilità, peccato ogni tanto facciano l’appello; evidentemente qualcuno è assente.
7- ‘ il Presidente/politico (ecc) deve avere il senso delle istituzioni ‘
Direi che prima è meglio che abbia un senso, poi se è quello istituzionale speriamo sia delle istituzioni come dovrebbero essere e non come sono. In comunicazione politica questo è un errore tipico dei partiti più radicati e tradizionali. Il cittadino ha smarrito da tempo il senso delle istituzioni (sempre che ne abbia avuto uno), e spesso i comportamenti degli stessi membri delle istituzioni hanno assegnato un senso assolutamente negativo.
8- ‘ basta dire che i politici sono tutti uguali ‘
No, ce ne sono anche di peggio. Dietro questo campagna pubblicitaria pro-politico quelli che se la godono sono proprio i disonesti che, per smarcarsi , tirano fuori la frase ad effetto.
9- ‘ non ci sono cittadini di serie A e cittadini di serie B ‘
Infatti esistono anche quelli di Lega Pro e minori. Non riconoscere che ci siano cittadini trattati in maniera assolutamente impari è la cosa più assurda che si possa pensare di dire. Ed è il motivo per cui continueranno ad esserci cittadini di serie A, B e oltre. Più opportuno sarebbe affermare la volontà di aiutare i cittadini di B e minori a raggiungere un livello omogeneo in una società da serie A.
10- ‘ il meglio deve ancora venire ‘
Pensa te! Cosa ancora dovrà accadere? Non è una frase detta ma vedrete che lo sarà tra 16-18 mesi se questo Governo reggerà. Sarà il mantra delle prossime elezioni; grazie ad una ripresa economica figlia di azioni artificiose, che ci riporterà in una crisi parziale continua, (ci esploderà tra le mani tra una decina di anni) la maggioranza sarà in grado di esercitare il fascino “berlusconiano” del “abbiamo fatto e faremo sempre di più”.