Archivio delle categorie Marketing Turistico e Territoriale

Il turismo in Salento è davvero finito? Quello vero non è mai iniziato.

Il turismo in Salento non è finito, perché non è mai iniziato. Il Salento si è presentato non come una destinazione ma come una meta, la cui domanda si fonda per l’80% sul turismo balneare. L’offerta, di contro, ha risposto con una forte stagionalità delle attività, prevalentemente ristorative e ricettive, che compongono quasi il 70% dell’indotto turistico Salentino. Se riduciamo il turismo ad un pernotto con pranzo o cena,  il Salento continua ad essere un buon mercato.

  
La pandemia ha rafforzato il turismo di prossimità, perciò la Puglia, ed il Salento ancora di più, hanno giovato di quello che è il core target. In Puglia più del 50% dei turisti sono pugliesi, un 30% italiani con una buona incidenza di quelli di prossimità, il restante internazionale. Non vi fate abbagliare dalle presenze di giugno, luglio ed agosto, questi dati rappresentano la media annua. Le riaperture hanno favorito i viaggi all’estero, ed il carovita ha spinto mete dove le low cost unite ai prezzi competitivi di mercati meno inflazionati hanno ridato numeri interessanti.  
Sulla polemica dei prezzi bisogna tener conto che il prezzo non è solo un costo, ma anche un valore. In parole povere concentriamoci sul rapporto qualità/prezzo.


Da circa dieci anni ripeto che il Salento si è basato su un turismo subito e non governato. Nel migliore dei casi è significato trovare imprenditori capaci, onesti e lavoratori formati e intraprendenti, che hanno saputo investire, lavorare e direzionare il mercato verso una gestione curata ed attenta delle loro attività, incidendo positivamente anche sull’indotto. Nel peggiore dei casi, troppo spesso, gruppi di potere hanno privatizzato e logorato il turismo, con la nascita e l’espansione di realtà utili solo a dinamiche predatorie e speculative. In tal senso l’amministrazione pubblica e le istituzioni sono state troppo disattente, e spero si tratti solo di disattenzione.

Continuando così ci saranno sempre delle situazioni di overtourism che peseranno sul rapporto tra residenti e turisti. Si tratta, anche qui, di programmare servizi in proporzione alle presenze, senza incorrere in ordinanze da sceriffi che ricordano i giorni più bui della pandemia, e che oggi penalizzano l’immagine, il commercio e la vivacità di una terra rinomata per uno stile di vita frizzante e dinamico.


Le imprese troppo spesso sono guidate da istinti familiari e non da competenze manageriali, ma su di loro si esprime il giudizio del libero mercato, anche se si riflette sull’intera reputazione del territorio. Ciò che è più grave, a mio modo di vedere, è l’inerzia delle amministrazioni pubbliche e delle istituzioni. Le faccio un esempio. La mia bellissima Lecce potrebbe rappresentare un hub da cui sviluppare sinergie e gestioni integrate di flussi, presenze e iniziare a presidiare nuovi mercati, che ad oggi non sono neanche tenuti in considerazione. La città sembra ostaggio del narcisismo della politica cittadina che si specchia su iniziative di facciata, che si scontrano con numeri e dinamiche che stanno portando alla turistificazione del centro storico e ad una mancata evoluzione di un modello che si presta sempre più a interessi privati abilmente camuffati da pubblici.

Il capoluogo salentino dovrebbe essere un modello di sviluppo, con un piano strategico specifico, con un destination management che faccia emergere peculiarità e specificità dell’offerta. Invece rimane tutto nelle mani dell’improvvisazione, e degli eventi. Tanti eventi, in ordine sparso, spesso usati per risonanza e auto celebrazione. Migliaia di euro in affidamenti diretti a cooperative o vicine alla Chiesa, che sta diventando sempre più attore economico e meno sociale, o all’amministrazione, come nel caso del sito lecceinscena.it, un sito non indicizzato, costosissimo, di cui se ne poteva fare a meno sfruttando il portale Visit Lecce nato anche per questo ed ancora in attesa di un rilancio. Questo solo per esemplificare, ma potrei continuare per ore. Ed in una città in pre dissesto, ogni euro speso male, è un euro speso peggio.


Ciò che si potrebbe fare è noto a molti da tempo, ma sembra non esserci volontà o capacità politica di indirizzare gli sforzi nel verso giusto. La tanto sbandierata destagionalizzazione non ci sarà mai fino a quando non si creeranno nuove stagionalità. La tanto ambita internazionalizzazione non si avrà mai, fino a quando non si avranno accordi commerciali con i principali hub e vettori internazionali e non si forniranno servizi infrastrutturali seri e continuativi.

A fronte di un’offerta esplosa, soprattutto nel settore extra alberghiero e ristorativo, la domanda continuerà  una lenta ma contenuta flessione, non si tratta di crisi, ma di un fisiologico ritorno dall’overtourism ad un equilibrio più strutturale. Bisogna metterselo in testa: dall’estate abbiamo spremuto tutto ciò che c’era da spremere. Un modello feroce che ha generato sacche di ricchezza senza distribuirla, esercitato pressione sul territorio e sui servizi essenziali, rotto equilibri tra domanda e offerta che ora andrà a ricomporsi non senza criticità per imprese e lavoratori.


Partirei da cosa non serve. Non serve più improvvisazione e serve una cabina di regia composta da istituzioni, amministrazioni, operatori e tecnici del settore. Non serve più muoversi in ordine sparso, ma realizzare sinergie, mettere in comune le competenze e le capacità. Serve voltare pagina e scriverne una nuova, dove finalmente il concetto di turismo torni ad essere una materia e non un fenomeno, e venga trattato come la prima industria del nostro territorio.

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Quando il prezzo non ha il giusto valore.

Siamo alle solite, e quest’anno più delle solite.

Inizia la stagione estiva e si scandagliano i prezzi di hotel, B&B, lidi e ristoranti delle principali mete turistiche. Riviste, giornali, tg, sbattono in prima pagina il costo dell’uno, l’aumento dell’altro. Tutto vero, tutto giusto, ma c’è qualcosa che non torna.

Dietro queste analisi si nasconde una narrazione tendenziosa, quanto faziosa e distorta, mirata a far apparire alcuni operatori, sebbene capaci e affermati, degli speculatori alla pari di altri che, non coprendo lo stesso mercato, non offrendo la stessa qualità di prodotto e di servizio, attuano dinamiche di prezzo, predatorie.

Ma c’è un altro aspetto che lascia perplessi. Leggendo commenti e opinioni  appare diffusa l’idea che a sud un’ombrellone, un hotel, una cena non possa costare più che a nord. Come se non contasse il servizio o prodotto offerto, il contesto, il mercato, la qualità proposta

Dalle pagine di questo blog ed in prima persona, mi sono battuto e continuo a farlo contro il turismo subito e non governato, contro l’overtourism, il turismo di massa, aggressivo, predatorio, e contro gli operatori improvvisati quando va bene. Disonesti o criminali quando va male. Ma il turismo italiano, oltre a vantare un prodotto d’eccellenza, annovera tra imprese, operatori e lavoratori del settore, una galassia di competenze, capacità, determinazione e coraggio, che prescindono dal territorio in cui operano, e pertanto meritano lo stesso rispetto.

Nei complessi sciistici più rinomati una settimana di vacanza mediamente costa il 30% in più di una settimana in una località estiva tra le più gettonate d’Italia, eppure le pulci alle spa, agli hotel di montagna, ai rifugi gourmet e alle piste da scii non se ne fanno. Ed è giusto così, perché spetta al cliente e all’ospite decidere dove destinare il proprio tempo, il proprio denaro.

Spetta al consumatore valutare il rapporto qualità prezzo. Spetta ad ognuno di noi dare valore a ciò che si consuma, a ciò che si mangia, si beve, e al tempo che dedichiamo a noi stessi grazie al lavoro altrui.

E’ così una pizza può costare 3 euro o 30, se nel primo caso non ci sono costi, non ci sono servizi, o se nel secondo si affrontano costi importanti, si garantisce un servizio di alto livello con personale formato, capace di parlare le lingue di accogliere, informare, se in cucina ci sono professionisti che fanno ricerca, selezione accurata di materie prime, inventano, innovano o il cui talento crea riconoscibilità e genera indotto e ricadute per una filiera locale.

Insomma, a tracciare il solco tra speculazione e inflazione, tra costo e valore, c’è sempre la qualità, ed è un fattore che in pochi sanno riconoscere, dato che alcuni credono di trovarla solo al nord.

Buone vacanze ovunque le facciate, alla ricerca del valore, prima che del costo.

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Gentrification, come le città stanno cambiando senza rendercene conto.

Il termine deriva da un utilizzo sociologico per descrivere una trasformazione socioculturale, graduale ma inesorabile, di aree urbane delle città. Prima popolate dalla classe operaia, poi divenute borghesi, alcune aree urbane, con la rivalutazione dei centri storici, si sono rivelate attrattori di investimenti immobiliari, ed i quartieri centrali di città d’arte o di mete particolarmente vocate al turismo, o all’incoming fieristico, lavorativo, finanziario, sono ad oggi in grande espansione.

In queste zone urbane, i prezzi sono in forte ascesa, e si assiste sempre più ad una dinamica speculativa sui prezzi al metro quadro degli immobili, anche in assenza di un complessivo miglioramento dell’area interessata, dal punto di vista dei servizi.

Mossa da una forza centrifuga, la gentrificazione si espande dal centro storico alle periferie. A muoverla sempre più velocemente è spesso un’altra dinamica, ovvero quella della turistificazione.

La classi medie, con capacità di spesa superiore a quella operaia, hanno nel tempo diversificato gli investimenti sulle proprietà immobiliari, cambiandone destinazione d’uso, e preferendo aree periferiche dove rivalutare immobili e rendere quell’area perciò in espansione, oltre che rivalutarla. Le scelte governative, hanno agevolato una più equa capacità da parte di tutte le classi sociali di adeguare immobili, facciate, e prestazioni energetiche delle proprie abitazioni, frenando il declassamento delle case più popolari, e allineandole con gli investimenti dei ceti medi.

La gentrificazione, nell’ultimo decennio, ha creato dei veri ghetti. Aree di quartiere, diventate inaccessibili per i resideti, compressi dall’inflazione e dalla speculazione immobiliare.

Avere una più omogenea spartizione dei flussi in incoming, fornire servizi in maniera diffusa e capillare, irrobustire le politiche di edilizia sostenibile, popolare e diffusa, incentivare buone pratiche di impresa, rappresenta l’unico modo per frenare un fenomeno che sta stravolgendo i quartieri delle nostre città, e che presta il fianco a dinamiche economico-finanziarie molto aggressive.

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Togliete il turismo dalle mani degli incompetenti.

Non possono essere usati giri di parole. La Puglia continua a non saper dare risposte alle necessità di un comparto turistico in ginocchio. Sebbene in crescita negli ultimi 10 anni, la Puglia continua ad avere un deficit gravissimo sotto il punto di vista della programmazione, e della gestione dei flussi. Nel 2019 (pre pandemia, quindi senza attenuanti) le strutture ricettive della Puglia accoglievano solo il 3,9% degli arrivi internazionali del nostro Paese.

La mancanza di una regia strategica, di una visione lungimirante e di una guida politica, ha portato il comparto del turismo ad avere un mercato composto da attività totalmente rivolte alla ristorazione (ben il 64% del totale delle attività) e alla ricettività (oltre il 14%). Mentre per servizi specifici di mobilità, intrattenimento, sport, accoglienza, tour, si dedicano, messe tutte insieme, meno del 22% delle imprese.

Circa il 60% degli arrivi in Puglia sono nelle province di Lecce e Foggia, segue Bari, scarse le performance di Brindisi e Taranto. La motivazione principale resta quella balenare, determinando così, ancora una volta la traiettoria stagionale del turismo made in Puglia.

Lecce presenta infine i tipici tratti della touristification, ovvero di quel fenomeno che, per mancanza di visione strategica, incapacità di governare i flussi e determinare le traiettorie del mercato, sta portando ad una sempre più palese mercificazione della città, come prodotto di consumo, e sempre meno come servizio esperienziale.

In soli 10 anni circa 260 residenti in meno nel centro storico e oltre 1.000 cambi di destinazione d’uso, con l’aumento incontrollato di B&B e ristoranti. Franchising al posto delle botteghe e la vita dei residenti si sposta sempre più nelle periferie, svuotando il centro storico di quella vitalità che l’ha reso uno dei centri più attrattivi e dinamici del sud Italia.

Eventi, o poco più. Qui si ferma la mano politica della gestione turistica in città, che attende una svolta digitale, un’implementazione dei servizi, una pianificazione di destination management, un’integrazione di servizi pubblici e privati, una regia comune per gli operatori. Insomma, siamo ancora all’anno zero.

Intanto, in mancanza di capacità di analisi, forniamo uno strumento di riflessione. Un’indagine svolta su un campione di 100 persone, per approfondire le lacune e provare a porre qualche interrogativo in più sulla gestione fallimentare del turismo a Lecce.

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Lecce: tra turismo di massa e crisi di identità.

Il viale della stazione ha ancora gli odori della notte passata su panchine e marciapiedi. I primi rumori dai viali svegliano la città, i trolley a ritmo crescente danno il via ai primi strombazzamenti di auto in coda e bus vuoti che non sanno dove andare. Lo sanno, ma non c’è scritto, ne a bordo, ne sulle pensiline. Quali pensiline?

Le auto, fiumi di auto, restano il mezzo più usato per venire a vedere la città; e trovali mezzi alternativi, capillari, affidabili, facilmente raggiungibili.

Finestrini chiusi, troppo caldo, mentre la città lenta e ammaccata si risveglia dalla movida della notte precedente. Il calore fa esalare più facilmente la fogna ricolma a filo di tombino. Fortuna, perché nelle marine della città non è cosa da tutti avere uno scarico fognario. Le blatte si svegliano, e iniziano a seguire i piedi forestieri nelle infradito.

Affannosamente ed in ritardo la municipalizzata raccoglie e pulisce ciò che riesce, il resto resta, e non c’è via di scampo.

Qualche chilometro di strada in mezzo alle buche, anzi, qualche chilometro di buche in mezzo alle strade, e si cerca il parcheggio, un gioco tipico del villaggio vacanza leccese. Ma muoviti con i mezzi! Monopattini, bus, bici, scooter. Certo, fammici arrivare. E fammici tornare, visto che le ciclabili sono disegnate per gli amanti dell’enigmistica, le pedonali sono illuminate, ma sono state dipinte con inchiostro simpatico che sparisce quando ci metti il piede sopra, e in città tutte le segnaletiche orizzontali hanno meno vita di “campana”, il gioco disegnato a gesso e mani nude sugli asfalti di noi nati prima degli smartphone.

L’odore del pasticciotto, scandisce la prima mattina ed il caffè in ghiaccio con latte di mandorla rinfresca. I rustici sono in forno e le leccornie tipiche hanno tempo, quello che non hai per prenotare i ristoranti, già tutti esauriti per cena, viva Dio. “Mieru, pezzetti e cazzotti” il famoso stornello leccese, ma del vino poca traccia, si va di spritz, neanche fossimo a Padova. I pezzetti (bocconcini di cavallo) sostituiti da burger di ogni tipo, neanche fossimo nell’Illinois. I cazzotti si salvano, quelli da sferrare contro la propria macchina appena scoperta la multa, o per ressare meglio nella calca tipica da raccomandazione covid.

Cerchi cartapesta trovi bangla. Sbirci per terracotta e ceramica e trovi Kasanova. Cerchi sartoria e trovi Zara, putee (botteghe) e trovi Mc Donalds. Il calore ti porta a mare, rigorosamente in macchina, non hai scampo. Si rientra al tramonto nel B&B in centro, vatti a ricordare quale, ce ne sono uno a 1 metro dall’altro, ma sono sempre più qualificati e meno improvvisati.

La città si illumina, il suo barocco splende, le vie, le piazzette, le chiese, gli anfiteatri, i portoni e i cortili, una meraviglia senza eguali.

Si cena, il ristorante è in una via, i tavolini arrivano in un’altra, i tavolini arrivano ovunque. Passa il trenino turistico in mezzo alla folla, sgasa che puzza. Gli ambulanti senza alcuna licenza allestiscono bancarelle che neanche nel mercato di Istanbul. Sono ovunque, interdicono l’ingresso della più bella piazza, quella del Duomo, nella quale entrano ed escono auto della curia, taxi, qualche infiltrato, a rovinare il selfie. Vai di foto panoramica, no, si vedono le impalcature su cui beffardamente si legge “aver cura”, affianco i soliti pakistani con cover, palloncini colorati.

Il Bazar di Piazza S. Oronzo

Drink nella movida, passeggiata su via Trinchese, la Walk of Fame di Lecce. Non rimarrà impressa una stella ma la stampa della tua scarpa che calca gelato, vari liquidi, resti di cibo e qualunque cosa cada dai cestini non più in grado di contenere. Schivi la folla, ma qualche genio ha deciso di mettere fuoco alle polveri, con eventi musicali da urlo nella zona più congestionata della città, nel periodo più caotico, a svilire ancora di più la bassa stagione, senza decentrare il caos. Le basi, le stesse che servivano per seguire le raccomandazioni per contenere il rischio contagio. Ciaone.

Lecce meta ambita, in cui si incontrano facilmente turisti di tutto il mondo, giovani come anziani, coppie, single, famiglie o gruppi di amici. Il barocco illuminato dal sole caldo, le vie della movida, i colori. Il mare, gli eventi, la cucina. E fin qui solo applausi, occhi stropicciati.

Poi c’è la città, quella di tutti i giorni, quella che parla di turisti e turismo solo quando finisce la “stagione”. La città che non comprende l’importanza di amministrare il turismo, di tutelarlo come prima industria cittadina.

La capitale del barocco, il capoluogo dello splendido Salento. Mille etichette, paragoni. “Lecce, la Firenze del sud”.

No, Lecce è Lecce. Del sud è del sud, a volte troppo, profondo sud, come la mentalità di quei geni messi a governare tanta bellezza. Nella sua esagerata bellezza, l’incuria e l’incapacità atavica di fare turismo, di arrivare preparati ad accogliere, gestire i flussi. A governare il turismo, non a subirlo.

“Tanto tornano” , loro. La città nella sua identità no, perché qualcuno ha deciso di cedere il passo alla turistificazione predatoria, sregolata, insensata, fino a quando i numeri del cosa, non basteranno a spiegare il come si è rotto l’incantesimo.

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