Il ruolo del consulente politico è notevolmente cambiato nel corso degli anni. Tecniche di comunicazione politica, marketing, managerialità e professionalità nella gestione delle comunicazioni dei partiti, sono di recente affermazione. Jacques Séguéla celebre pubblicitario le cui teorie e strategie si sono espresse nella comunicazione politica già nel 1992, mentre ancora in Italia la politica parlava un linguaggio poco commerciale e incline ai vecchi standard propagandistici, scriveva una vera e propria bibbia della comunicazione in politica.“Eltsin lava più bianco” racconta “l’immagine dell’uomo politico in dieci comandamenti”. Dopo aver incontrato il leader del partito socialista Mitterrand e seguito svariate campagne nell’est europeo dopo la caduta dell’unione sovietica, Séguéla propone un modello nuovo per la comunicazione politica, un modello che ad oggi appare ancora molto valido e che consegnerà alla Francia e al mondo intero il “mago delle elezioni”.
I dieci comandamenti sono:
Appare evidente che il consulente politico, leggendo questi comandamenti di più di venti anni fa che sembrano mostrare le principali figure e cariche politiche del mondo, debba avere dei capi saldi nello svolgere le proprie attività di comunicazione.
Anna Maria Testa, parlando di pubblicità e propaganda, sottolinea come nella comunicazione politica delle democrazie contemporanee “i toni imperativi tendono a cancellarsi, sostituiti da argomenti di carattere più seduttivo”. La propaganda quindi, dalla forma più tradizionale, intraprende la via della comunicazione politica, che tiene conto di uno stile che si avvicina sempre di più ai toni pubblicitari.
Questa evoluzione si è verificata per il cambio del contesto; l’evoluzione degli strumenti, la crescita delle ICT, l’aumento esponenziale di opinioni maggiormente formate culturalmente e socialmente coscienti, sono tra i motivi che hanno portato la propaganda ad evolversi.
La televisione, il web , una nuova retorica basata sulle emozioni, il passaggio dall’ottica della paura a quella della positività e speranza, dal nemico unico all’amico preferito, dai toni imperativi del “tu devi” a “noi possiamo”.Lo scenario in Italia cambia con l’arrivo di Silvio Berlusconi in politica, l’imprenditore della tv commerciale italiana,che in virtù dei cambiamenti sopra descritti, seppe parlare con un nuovo linguaggio agli italiani. Dal 1994 inizia una nuova era per la comunicazione politica. A modificare notevolmente il mercato dell’offerta televisiva italiana, negli anni ’90 è Mediaset. Azienda facente parte della famiglia Fininvest, inaugura le sue reti nel 1993 e da il via ad una vera e propria rivoluzione nel campo dell’informazione. Nasce il più aggiornato concetto di consulente politico.
Per la prima volta, la spettacolarizzazione delle notizie, l’informazione più allineata ai modelli americani, i format più utilizzati nell’ambito commerciale, invadono le famiglie italiane, che cambieranno modo di informarsi ed intrattenersi. Tutta l’informazione si allinea su standard commerciali. Messaggi veloci, toni scelti, parole chiave, elenchi puntati, video e grafiche semplici e coinvolgenti, spot da trenta secondi: la comunicazione politica ,come tutti gli ambiti in cui la comunicazione si applica, cambia volto. La tv diventa elemento centrale per informazione e intrattenimento, le case italiane iniziano a conformarsi intorno allo schermo, disponendo tavole, divani, poltrone, intorno ad esso.
Negli stessi anni, esattamente nel 1991, presso il CERN di Ginevra, dal protocollo http nasce il linguaggio del web. Il primo browser, che renderà internet accessibile e noto a tutti sarà “mosaic” nel 1993.Un momento storico destinato a cambiare la vita di miliardi di persone nel mondo. Gli anni ’90 vedono un progresso continuo ed incessante, i contenuti si iniziano a pubblicare e scambiare nelle chat e nei forum.
Gli anni 2000 sono gli anni di internet. Web e internet diventano concettualmente una cosa sola. Il consulente politico deve aggiornarsi e orientarsi al web. Nascono i colossi della rete, i messaggi diventano contenuti, la comunicazione politica si trasforma ma prima di essa il mondo delle imprese inizia a capire la portata della rivoluzione che sta avvenendo, i format cambiano, la rete diventa un nuovo luogo di condivisione. La politica, ben distante dall’essere un campo innovativo, resta a guardare, non comprendendo il cambiamento in atto, invece di governarne le pratiche ne rimarrà travolta. Nascono e si evolvono nuovi sistemi di accesso, dal 2008 in poi conosceremo il termine “banda larga”, tecnologie per un accesso sempre più rapido alla rete. Da qui a poco la comunicazione politica scoprirà l’impatto della rete e dei social network.
2007: inizio della crisi economica negli Stati Uniti, parte tutto dal settore immobiliare e la bolla dei subprime. Falliscono i primi colossi del credito, con ripercussioni in tutto il globo. Il sistema capitalistico sembra vacillare, il rapporto debito-credito tiene in scacco popolazioni e governanti. Nascono movimenti di protesta contro una classe politica e dirigenziale accusata di essere quel 20% del pianeta che possiede l’80% delle risorse o comunque di fare cattiva amministrazione e di favorirne la mancata distribuzione a vantaggio di speculatori e lobbisti. I politici in grave calo di consenso subiscono il peso dei social network. La rete si dimostra un aggregatore eccezionale per i movimenti di protesta. Da Occupy Wall Street agli indignati spagnoli, passando per il popolo viola italiano e i gruppi estremisti di mezza Europa, vengono tutti accomunati dalla capacità di fare network. Si riempiono i blog, ci si incontra su facebook, si rilancia l’ultima ora su twitter e nel giro di breve tempo le piazze, quelle reali, sono stracolme. In Italia inizia il V-day ,(8 settembre 2007) dapprima una giornata di mobilitazione per una proposta di legge d’iniziativa popolare che si propone di cambiare i requisiti di candidabilità ed eleggibilità, (“no condannati in parlamento”) abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e numero massimo di mandati. I partiti tradizionali, quelli definibili della seconda repubblica, sono spiazzati.
Il consulente politico in questi anni in Italia non sembra essere aggiornato, formato e attento alle nuove dinamiche. Il mancato presidio dei social network e la scarsa propensione alle ICT da parte della politica, crea uno spazio virtuale sgombro da qualsiasi controllo. Le prime strategie di comunicazione in tal senso, da parte della classe politica, riguardano le attività dei vari uffici stampa che rilasciano comunicati dove si parla di “deriva populista” ed una esile campagna di immagine che ci permetterà di vedere alcuni politici alle prese con delle passerelle televisive muniti di tablet e smartphone. Il marketing in politica ormai è realtà ma si è soffermato a recuperare il tempo perso, con strategie di naming, branding, riposizionamento, targeting e tutte le basi su cui la politica arrivò in ritardo. La comunicazione politica viaggia verso il marketing politico-elettorale che secondo Bongrand è “un insieme di tecniche che tendono a favorire l’adeguamento di un candidato al suo elettorato potenziale, farlo conoscere, creare la differenza con i concorrenti e ottimizzare il numero di suffragi che occorre guadagnare nel corso della campagna”. E’ ora, è questo il tempo del marketing in politica? Non più, non solo. Come cambierà la comunicazione politica da qui ai prossimi anni? Viviamo quello che può essere definito la fase 2.0, il marketing trasformato da transazionale a relazionale o addirittura come molti sostengono siamo già nell’era del 3.0, dello storytelling, del marketing emozionale.
Potrebbe non essere questo il tempo, il luogo, per definire che tempo e luogo viviamo e cosa serva fare per migliorare la nostra vita ma un’idea io l’avrei: marketing 4.0.
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Questa volta nessuno si è sbilanciato. L’ultima volta era in occasione delle elezioni europee. I sondaggi davano un testa a testa tra PD e Movimento 5 Stelle, 28% il primo, 25% il secondo, si diceva.
Sappiamo come andò a finire: il M5S passò il post elezioni ad ingurgitare Malox e a maledire scelte strategiche sbagliate, come l’effetto bandwagon cercato con il #vinciamonoi , che ovviamente si rivelò un boomerang. La Lega si mostrò nettamente in crescita rispetto ad un’ormai collassata Forza Italia. Il PD, trascinato dall’effetto 80 euro e dal clima luna di miele di Renzi, dominò la sfida che seppe mettere sul piano di un derby “rabbia contro speranza” e se loro erano la speranza, qualcuno indossò (altro errore clamoroso) la maglia della rabbia.
Questa volta le cose sono leggermente cambiate. Intanto il Movimento ha rivisto la sua strategia (mai troppo tardi) e la TV viene vista come strumento da saper utilizzare per comunicare con un target ancora troppo lontano. La Lega ha avuto vita facile. Una pressione media di 3 ore al giorno in TV di Matteo Salvini e l’allestimento ad hoc del ring (temi unici che Salvini può e sa trattare: immigrazione, pensioni, anti-renzismo-europeismo) lo ha avvantaggiato e produrrà sicuramente un effetto escalation nelle urne.
Berlusconi è resuscitato giusto in tempo per fallire insieme al suo partito. Probabilmente FI riprenderà qualche voto con il candidato di spicco Toti e poco più, ma l’immagine più sintomatica è quella dellacaduta dal palco di nonno Silvio
Ma quali saranno i fattori critici di successo per queste elezioni?
Il PD in difficoltà con l’elettorato di sinistra si rifugia in alleanze con il centro e parla un linguaggio generalista, di quelli che come la metti può andar bene a tutti (se chiami una legge ” la buona scuola ” come si fa a dire che è cattiva?). Il tema è sempre uno solo: #cambiamento , ma nessuno si è chiesto se coincida con miglioramento.Renzi è in calo di consensi, il suo Partito però terrà colpo. Nomi già conosciuti (purtroppo anche dalla giustizia)
, una comunicazione molto professionale, studiata e mirata sui singoli territori, rappresentano la garanzia di una buona prestazione. La Lega salirà nei consensi, merito della ripetitiva omelia salviniana e del servilismo becero e mascherato di molti giornalisti. Pochi argomenti ma sentiti dal popolo, quel popolo tra i 60 e i 75 anni, che segue Studio Aperto e per il 70% ha una licenza media/elementare (Dati raccolti qui). Il M5S ha spolverato con sempre più frequenza i suoi elementi più televisivi e lo ha fatto con grande successo, come nel caso di Di Maio . Rimane un grande problema. Il Movimento ha ancora un gap con i partiti tradizionali sul target over 55, anche se la TV sta aiutando ad accorciare le distanze. Lo stesso problema lo ha con il suo core target, i giovani dai 18 ai 35 anni, è proprio in questa fascia infatti che l’astensionismo risulta avere dei picchi impressionanti.
Quindi chi vincerà? Tutti, o almeno così soterranno.
Vincerà la Lega che prenderà i dati sulla crescita percentuale. Vincerà il PD che manterrà un buon consenso e si aggiudicherà metà o più delle Regioni. Vincerà il Movimento che partendo da zero in tutte le Regioni potrà esultare per aver inserito i suoi candidati nelle assemblee. Vincerà Forza Italia che sosterrà “ci davano per morti” invece sono solo in coma.
In realtà perderanno tutti, perderà l’Italia. Perderanno gli elettori che con hanno ricevuto 50 euro per un voto, o una promessa di lavoro. Perderà l’Italia che avrà ancora una volta l’astensionismo superiore al 40%. Perderanno tutti quegli italiani che aspettano che la commissione antimafia faccia un’operazione di facciata, elencando i nomi degli impresentabili, come se cambiasse qualcosa a 24 ore dal voto; il problema non è avere una lista di impresentabili ma avere degli impresentabili in lista. Perderanno tutti quelli che volevano le liste pulite ed invece si trovano una marea di indagati, condannati, prescritti e via dicendo. Perderanno tutti quelli che razzolano bene e parlano male, quelli che se Saviano parla di Mafia quando il centro destra è al Governo è un mito ma se parla di De Luca e del PD in Campania non lo si vede più neanche per 30″ su teleondaegabbiani. Perderemo tutti, perchè votare per qualcuno che nel 2015 indossa felpe per promuoversi in 2/3 dei territori che ha sempre definito “terronia” è una sconfitta per l’onestà intellettuale di tutti noi.
Buon voto e che perda il peggiore.
Nella web politica ogni errore si paga caro. Una battuta fuori luogo, un gestaccio, un comportamento sopra le righe, può comportare un notevole disagio, specie se ci si limita a far scendere il silenzio senza porre rimedio.
Sovente assistiamo ad #EpicFail che si palesano su internet dove, se mai ce ne fosse bisogno di ricordarlo, nulla si cancella e tutto appare indelebile, quando, anche a distanza di tempo, c’è qualcuno pronto a farcela pagare. Nel libro Epic Fail, due anni di disastri social di Valentina Spotti vengono raccolti alcuni casi che possono far riflettere ma soprattutto fanno scuola nel campo politico e ci consegnano modi in cui è preferibile non agire.
L’ultimo #EpicFail in ordine di tempo è quello dello staff di Beppe Grillo non nuovo all’approssimazione e all’improvvisazione. Il tweet che sembra mettere sullo stesso piano topi, spazzatura e clandestini viene (poco) prontamente modificato.
Il risultato è ovvio. Postare e poi modificare/cancellare è come sparare e cercare di fermare il proiettile.
Allora quando si svolgono attività di web politica è meglio tenere a mente delle indicazioni opportune:
A tutti capita di sbagliare ma perseverare…
Il Movimento 5 Stelle ha già fatto grandi passi in avanti (credo con un anno di ritardo circa, basti leggere le indicazioni che riportavo nel novembre 2014 e nei miei post dell’anno scorso ) ma ancora tanti ne deve fare.
Capita a tutti dicevo, anche ai maestri del tweet, supportati da staff di esperti della web politica
Qui non si tratta di un vero e proprio epic fail quanto di un estremismo comunicativo. Il tentativo di perfezionismo porta ad usare il plurale di un inglesismo in una forma scorretta. A tal proposito unarticolo divertente quanto interessante ci mostra come dovremmo in questo caso utilizzare il plurale quando parliamo di bar-s- , per esempio.
Un estremismo che passa dall’ossessiva ricerca di perseguire lo storytelling intrapreso. Parlare de#LaVoltaBuona e dell’ #Expo2015 , incantato da una “bella l’Italia che vince le sfide” in un contesto di malaffare, corruzione, indagini e problemi cronici con l’immigrazione, stride, ed a volte, il troppo stroppia.
Avere una strategia politica vuol dire tanto, spesso tutto. La politica è strategia in tutte le sue sfumature. Diamo uno sguardo ad un caso eclatante di strategia politica, di come questa possa incidere sulle nostre vite, come possano orientare le nostre scelte e le nostre convinzioni. In questi giorni i nostri profili Facebook si sono riempiti di colore, foto modificate con una app che rende i nostri volti colorati, arcobaleno.
E’ un trionfo del “no”, quello cassato in America che sanciva la legittimità delle coppie gay desiderose di matrimonio. Negli stessi giorni Tsipras negoziava con l’Europa. Si scrive negoziato, si legge ricatto. A questo ricatto il buon Alexis ha provato a rispondere con un contro-ricatto. Non accettate le nostre condizioni? Allora faremo decidere ai greci. Sarà quindi il Paese, lo stesso dove la democrazia è nata, a decidere del proprio destino. Sembra assurdo ma la cosa più ovvia, la più democratica, cioè il parere dei cittadini, oggi va celebrata come un successo: il popolo torna sovrano. Appare dunque evidente l’influenza di una strategia politica a monte di tutte le attività di comunicazione.
Ma chi è il popolo? Di questi tempi si usa definirlo “popolino”: invecchiato, impoverito, impigrito, spaventato, sabotato e spesso incolto. Un popolo che subirà le pressioni dei grandi opinion maker e che verrà pressato dalle grandi corporazioni, lobby e strutture di potere che eserciteranno una propaganda filo europeista e ne è un’azione tipica quella che il FMI ha applicato per sabotare il turismo in Grecia (circa 1/5 del PIL). Una propaganda che tutti i poteri forti giocano senza vergogna, basti pensare ai servizi trasmessi dalla Rai dove “migliaia di europeisti in piazza per dire SI” in realtà erano a favore del “OXI” (NO).
Propaganda che è stata incentrata sulla paura, sull’incertezza del proprio destino, sul tema ” l’unione fa la forza e soli non possiamo stare “. Strategia politica, appunto. Per dare retta a questa tesi sarà sufficiente esprimere il proprio “si” la cui formula appare per logicità un’affermazione. Il diritto di non cedere ai ricatti (si dice siano riforme) di un’ Europa (economicamente parlando) che ha trattenuto ricchezze e distribuito regole standard per Paesi completamente diversi, passa attraverso il “no”, associato logicamente ad una negazione, una contrarietà, un’opposizione.
Come per il referendum su nucleare e acqua pubblica, anche questa volta un no vale un si.
Come fare allora ad associare al “NO” un concetto positivo ?
Questione di strategia politica e non solo, associare un negazione all’emisfero positivo è missione ardua ma non impossibile, qualche consiglio potrebbe tornare utile:
Sbagliatissima applicazione. Giocare sullo stesso piano (paura per paura) non fa altro che aumentare la sensazione di spavento, in questo caso vincerebbe solo chi spaventa di più. Non c’è dubbio, l’Europa. Nel cartello il comitato OXI (NO) associa il voto al “nemico unico”, la Germania.
Non è affatto semplice trasformare un “no” in un’idea positiva ma si può fare. A tal proposito qualcuno di voi ha già visto il film “NO, i giorni dell’arcobaleno” ? La visione è fortemente consigliata, a buon rendere.
Il meglio deve ancora venire, almeno dalla rete. I social, dopo l’ “OXI” della Grecia alle misure imposte dall’Europa, accolgono con la solita geniale irriverenza il risultato.
Impazza intanto #ideeperlagrecia , un pullulare di soluzioni piuttosto divertenti.