COVID 19: una lezione di umanità e di umiltà.

Sarà capitato anche a voi di sentire una strana sensazione di vuoto guardando gli stadi e gli impianti sportivi, le palestre, le città e gli studi televisivi deserti. Vi sarete sentiti almeno un pizzico giù di morale, depressi o storditi.

Chiusi nel nostro mondo fatto di abitudini, scuole, lavoro, università, code, tasse, spese, ci siamo resi conto di essere tremendamente umani. Vivevamo già un isolamento fatto di display, smartphone e social, ma ora che ce lo chiedono siamo terrorizzati.

Aperitivi, shopping, passeggiate; all’improvviso tutto si ferma. Improvvisamente fragili, imperfetti, finemente umani. In un mondo che inquiniamo e deturpiamo quotidianamente, la natura, in diversi modi e forme, ci presenta il conto, ricordandoci che siamo umani.

Scopriamo che tumori, incidenti e problemi cardiaci, che sono le principali cause di morte, non fanno paura quanto il COVID19. Scopriamo di avere paura, non perché il corona virus sia più letale di ciò che ci ammazza quotidianamente, ma perché non lo conosciamo, non abbiamo vaccini, è invisibile e potenzialmente ognuno di noi ne può essere portatore. Non abbiamo un nemico, non è straniero, non ha confini, razza, religione. E’ contagioso. E’ una guerra, ma non è assordante, non esplodono armi, è silenziosa, ed è fatta di “goccioline” trasmesse da una persona all’altra.

E’ una lezione che difficilmente ci dimenticheremo. Il virus ci sta insegnando che lavarsi le mani è sempre utile, che starnutire o tossire senza porre una chiusura alla fuoriuscita di particelle da bocca e naso è dannatamente dissennato. Scopriamo improvvisamente che il mondo a cui ci siamo abituati è fatto da consuetudini superflue e che lo smart working, il lavoro da remoto per lavorare da casa inizia ad essere utile oltre che meno dispendioso in termini di mobilità, tempo e risorse. Scopriamo che il mondo globale subisce l’effetto domino e che “un battito d’ali di una farfalla in Cina può provocare un uragano in Europa”.

Scopriamo che l’inquinamento siamo noi e che l’allarme polveri sottili sta gradualmente rientrando. Notiamo le pulizie nelle città, chiamate anche straordinarie o “sanificazione”, quando acqua e candeggina ogni tanto non farebbero male. Scopriamo ritmi meno frenetici, meno code, meno clacson. Scopriamo il vero significato di virale, e che il virus lo è tanto quanto le fake news. Ci scopriamo tutti epidemiologi, ma abbiamo bisogno di Barbara D’Urso per capire come lavarci le mani. Scopriamo che i cervelli in fuga si possono trasformare in fughe senza cervello.

Scopriamo il peso del pregiudizio, per ogni colpo di tosse uno sguardo sospetto. Scopriamo che tutto ha un valore ben più grande di quanto ne attribuiamo nella quotidianità. Che le Istituzioni hanno un senso e che a furia di screditarle, denigrarle, rischiamo di non avere punti di riferimento, guide autorevoli, nel marasma del web e del Dottor Google.

Vediamo la fragilità dell’Europa che non si è mai profusa nell’impegno di dotarsi di protocolli unici per la sicurezza e la salute pubblica: a fine epidemia italiana, come faremo con turisti provenienti da Paesi che stanno conoscendo solo ora l’aumento dei contagi?

Subiamo il peso di chi ha fatto politica sulla pelle dei cittadini e che, in un folle gioco al rialzo, ha creato panico e confusione, pur di dimostrare l’utilità di un “uomo solo al comando”.

Il contrario. Da soli non si va da nessuna parte, perché servono competenze, teste, cuori. Servono i legislativi che nottetempo scrivono decreti, servono i medici e i tecnici dell’Istituto Superiore di Sanità. Servono gli esperti dei nostri presidi ospedalieri e tutte le intelligenze del Paese. Scopriamo che l’informazione e la trasparenza hanno un costo, ma vale la pena investirci.

Scopriamo che gli scandali, i tagli e le frodi perpetrate nell’ultimo ventennio le paghiamo oggi, e che mentre puntavamo il dito contro quello e questo, la corruzione, come il peggiore virus, si insidiava ovunque, devastando un sistema Paese che oggi campa prevalentemente di risorse nervose, di talenti e di speranze.

Comprendiamo solo oggi che il concetto di “chiuso” è sempre relativo, perché nulla può essere controllato, chiuso e sigillato, neanche un carcere di massima sicurezza, figuriamoci un mondo globale, sferico e non piatto come qualcuno preferirebbe immaginarlo.

Comprendiamo oggi che il virus ci ha resi meno sicuri di noi stessi, che siamo profondamente umani, e che “la retorica efficientista è definitivamente scaduta” e che forse, a volte, è meglio fermarsi, ragionare, riconoscere le competenze, i livelli, e mettersi da parte, a svolgere il compito, con umiltà e dignità.

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