Il 3 e 4 ottobre si andrà a votare in 1.342 comuni, di cui 20 sono capoluoghi di provincia. Con l’attuale legge elettorale, nei comuni sotto i 15 mila abitanti, vincerà il candidato sindaco con maggiori preferenze, nelle città sopra i 15 mila, in assenza di una maggioranza superiore al 51% si andrà a ballottaggio.
Si andrà a votare con la solita incertezza, ma alcune considerazioni possono essere già fatti e con qualche pronostico che mi permetto di azzardare.
1- I leader sono tornati ad essere il centro della campagna elettorale.
I programmi e i progetti, lasciano spazio al clamore della star, alla piazza gremita, ai selfie. Nessuno escluso.
E’ toccato anche a Giuseppe Conte, reo dell’investitura a leader del Movimento 5 Stelle, organizzare il tour dal sapore di tournee. Non più e non solo Salvini, che sdoganò il momento selfie, l’accoglienza da stadio, la folla che acclama e le tribù ballanti. Ora tocca a tutti, con diversa sorte, ma con piazze quasi sempre gremite, anche da controfigure piuttosto che vuote o photoshoppate.
2- Amici – nemici.
In Parlamento siedono quasi tutti insieme, in piazza se le suonano, nelle urne si accordano. Il detto marciare divisi per colpire uniti non è più una parola d’ordine, ora ci si muove in ordine sparso, città per città. Poi si vedrà. E’ il caso di PD e Movimento 5 Stelle, che creano giorno dopo giorno un fronte moderato-progressista, in cui però gli uni non si fidano molto degli altri. Lì dove il Movimento appoggia il PD sarà un trionfo, viceversa dove correranno sperati vedrete che randellate per il Movimento.
Stessa pratica per Lega Nord e Fratelli d’Italia. Alle prese con la bava alla bocca dei leader, in cui l’uno vuole essere più leader dell’altra, in un gioco al massacro fatto di nomine e candidature che neanche in un raduno di scappati di casa.
In tutti i casi arrivano i soldi del recovery fund, milioni di euro che le amministrazioni locali dovranno gestire. Vincere è bello, non perdere è meglio, perciò fair play.
3- Neo civismo.
La nuova strategia locale, trasversale, per evitare posizionamenti troppo rigidi, restare fluidi, a tratti liquidi. Il movimento del neo civismo è stato già sperimentato negli ultimi 10 anni, connotando però sempre delle identità e dei valori attinenti alla lista del candidato sindaco, perciò troppo esposta ad una scelta dicotomica: destra-sinistra, sindaco a o sindaco b. Il voto disgiunto favorisce la creazione di coalizioni con più liste, all’interno delle quali inserire sacche di voti, che confluiranno poi in apparentamenti con sorpresa finale. Il caso di Calenda a Roma è emblematico e vedremo quanti infiltrati nelle liste a sostegno di Raggi.
4- Astensionismo.
Il Governo Draghi, l’attesa per il Quirinale, il recovery fund, il post pandemia, sono fattori che hanno portato tutti ai blocchi di partenza, creando un unico blocco. Si fa fatica a rintracciare novità, anche lì dove le scelte definite coraggiose, ma in realtà scontate ed opportune, portano ad una crescita esponenziale, come nel caso di Giorgia Meloni, la cui leadership sembra chiusa all’interno delle mura di Fratelli d’Italia.
Salvini, silurato dall’interno, sembra perdere consenso e pezzi. Forza Italia con manovre ben più articolate si propone come forza di appoggio a chiunque purché non resti esclusa dalle principali poste in gioco. Conte è alla prima prova del fuoco, e dovrà osservare dove vince e dove perde. Una polveriera nella quale mi sento di anticipare che l’astensione sarà in netta crescita, ed il voto frammentato dai leader, polarizzato su alcune coalizioni.
5- Bipolarismo.
Il Movimento 5 Stelle aveva determinato la rottura dei due blocchi politici, contrapposti ma contigui, del centrodestra-centrosinistra. Adesso ne rideterminerà il ritorno. Come accaduto con la Lega Nord, il Movimento, per osmosi, travasa gran parte dei suoi consensi al partner (accadrà la stessa cosa con il PD).
E’ passato un ventennio da quando dicevamo “il futuro sarà digitale”. Venti anni, tanto tempo, troppo tempo, che ormai il futuro è passato. Ed eccoci qui, in fondo alle classifiche, alla fine di tutto, dopo di tutti.
L’Italia ha un fatturato nel digitale di 48 miliardi di euro, la Germania 82, la Francia 91.
Eccoci qui, con poche competenze, scarse risorse, nessun investimento.
Male nelle prestazioni della rete, malissimo nella distribuzione della connettività, pessimi nelle risorse umane per formazione di personale specializzato, ed anche per l’utilizzo basico della rete.
Oltre il 30% delle PMI non ha un sito, oltre il 40% non ha un e-commerce, oltre il 50% non ha affidato le attività ad un professionista specializzato, ma ha attribuito nuova mansione al personale, ovviamente quasi sempre autodidatta.
Sono dati estrapolati da più ricerche, nonché dall’ultimo report DESI (Digital Economy and Society Index) stilato annualmente dalla Commissione Europea. Non si vede un’indicatore che faccia orgoglio all’Italia, bloccata sempre nelle ultime 5-6 posizioni su 27.
Ed eccoci qui, con le PMI italiane che rappresentano l’80% delle imprese di questo Paese, nonché l’ossatura economica. La spina dorsale, prevalentemente a gestione familiare, pochi manager, tanti padri di famiglia. Scarsa attitudine ad investire, poca lungimiranza strategica, mancanza di visione.
Così la pandemia ha spazzato via tanti operatori, tutti in sofferenza, pochi, troppo pochi, hanno compensato la perdita di fatturato del proprio core business, con lo sviluppo di attività parallele, digitali.
Non si tratta di abdicare al potere del proprio business, ne di perdere identità, ma di crearne un altro, un extended , che non subisca limiti, vincoli, di tempi, spazi e limitazioni imposte.
Ed eccoci qui, a furia di demonizzare Amazon, che ci siamo dati in pasto al colosso, ai colossi del web, che operano erodendo diritti ed eludendo il fisco grazie al dumping fiscale.
Ed eccoci qui, che pur di non pianificare il futuro, ci siamo fatti fagocitare dal presente e nonostante il trend delle vendite online sia in crescita a doppia cifra da 5 anni consecutivi (la pandemia ha spinto verso un ulteriore balzo) l’Italia resta tra le ultime 5 in Europa. Nonché l’ultima tra le potenze mondiali. Eppure il mercato del digitale viene spinto da:
– hi tech
– Abbigliamento e accessori
– Food & beverage
– Made in Italy
Già, oltre il danno la beffa. Ci sono più intermediari che rivendono il Made in Italy che nostre imprese che lo fanno direttamente, per mancanza di un piano di marketing digitale.
Questa è colpa del “mio cugino fa siti”, o del “mio nipote smanetta su Instagram”. Questa è responsabilità di chi doveva da anni traghettare verso una transizione digitale che ormai, solo a parlarne sembra di discutere del ponte sullo stretto.