Archivio annuale 2021

Qualcosa si è rotto e forse non è un male.

Per anni abbiamo inseguito il mito della crescita economica, del PIL, dello sviluppo industriale. Indici di occupazione e di disoccupazione. Abbiamo legittimato le più spregiudicate pratiche neoliberiste, accettando la compressione di diritti, in virtù dei privilegi di pochi, che si sono arricchiti a dismisura, speculando sulle necessità di tanti.

Abbiamo accettato che venissero liberalizzate tutte le attività, scoprendo sulla nostra pelle che liberalizzare senza buon senso e norme, significa schiavizzare i lavoratori. Sono saltati orari, addio alla domenica in famiglia, le macchinette self service, i supermarket 24/24, aperti 7 giorni su 7. Un sistema che non solo non ha funzionato, ma ci ha portato ad un lento oblio, dove l’arricchimento di pochi è diventato un problema finanziario. Banche colme di denaro immobilizzato sui conti correnti straripanti di pochissimi, mentre tanti altri, vuoti, di persone che non possono accedere al credito, proprio perché privi di garanzie erose come i loro diritti.

La pandemia ci ha buttato tutto in faccia, nel silenzio delle nostre abitazioni, a riflettere sul nostro posto nel mondo, sul significato della vita. E giù di frustrazioni, violenza domestica e rabbia, nel peggiore dei casi. Film, letture, hobby, nuovi spunti e passione, nel migliore dei casi.

Ed in entrambe le circostanze abbiamo fatto i conti con noi stessi. Un reset psicologico senza precedenti, spesso inconsapevole, ma netto. Così è nata l’esigenza di conciliare la propria vita privata con il lavoro, l’urgenza di darsi una spiegazione per le incongruenze tra ciò che si è e cio che si fa.

Negli USA è chiamato Great Resignation, un fenomeno che ha portato oltre 4 milioni e mezzo di americani a dimettersi, licenziarsi dal proprio posto di lavoro. In Italia, con dimensioni e dinamiche molto differenti, si conta circa mezzo milione di lavoratori che hanno abbandonato volontariamente il proprio posto di lavoro, alla ricerca di uno migliore, o in attesa sabbatica.

Fino al 2019 si erano registrati aumenti considerevoli di burnout sul posto di lavoro, ovvero il cosidetto esaurimento nervoso, collegato allo svolgimento di mansioni professionali. In Italia si registra da anni un’impennata di ansiolitici e antidepressivi, con un aumento medio del +1,3% annuo per antipsicotici, e del + 2,1% annuo per gli antidepressivi. Un disagio che sfugge dai calcoli economici.

Un’economia che spesso ignora costi e benefici, e si ferma alle sole entrate ed uscite, come di tutti quei liberi professionisti, partite IVA, PMI che aumentano orari di lavoro, suppoenendo  un’eventuale extra incasso, ed ignorano il logorio, il mancato tempo libero, l’incapacità di sviluppare hobby, interessi, reti sociali, che sono parte fondamentale della realizzazione personale. E se si realizza il personale, non può che migliorare il professionale. Esistono costi occulti di cui un bilancio economico non tiene conto, che vanno al di la del tangibile, dello scontrino, delle fatture.

La pandemia ci ha obbligato a restrizioni, chiusure, a farci sentire carenti di libertà. Carenze che abbiamo metabolizzato e che ci siamo resi conto essere delle schiavitù. Come di tempi biblici nel traffico, code negli uffici, burocrazia, lavoro sottopogato, con i salari unici in Europa per essere diminuiti negli ultimi 20 anni mentre in altri Paesi sono tutti aumentati e spesso anche di tanto. Bollette da pagare, mutui e finanziamenti per permetterci un tenore di vita che sembra appagare una vita di frustrazioni, ma è solo effetto placebo.

Dal lavorare tanto in pochi, dovevamo iniziare a lavorare poco tutti, perché siamo nati per fare molto di più che lavorare e siamo rimasti con il lavorare molto di più del tempo che ci rimane da vivere.

Ecco perché siamo sprofondati, e forse è meglio così.

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Vincere le elezioni amministrative : i 10 comandamenti.

Vincere le elezioni amministrative? Ecco i 10 comandamenti.

In molti mi hanno contattato anche solo per una consulenza a distanza, per la propria campagna elettorale, chiedendo quali “cose” vadano fatte per vincere. “Voglio usare i social” o “vedi se puoi fare qualcosa con la grafica”. 
Ma per vincere le elezioni amministrative, in generale qualunque competizione elettorale, non è sufficiente organizzare una campagna di comunicazione, pensare ad un messaggio, a una grafica o usare bene i social, ma ci sono molti aspetti che non vengono tenuti in considerazione. Ed è opportuno che qui se ne parli una volta per tutte.

1- FATTORE TEMPO

A meno di enormi budget o di un personaggio molto forte e consolidato presso l’elettorato, esiste un tempo minimo di esposizione pubblica che deve essere garantita. Meno di 3 mesi, significa tentare la sorte.

2- MAPPA LA TUA AREA

Circoscrivi le zone, identifica luoghi, persone, problemi, risorse e opportunità delle diverse aree della tua città. Non supporre di conoscerla bene, il punto di vista è un altro.

3- ANALIZZA

Punti di forza e di debolezza del candidato (o soggetto della campagna). Minacce ed opportunità nel contesto elettorale. Benchmark: quale è il riferimento sul mercato, individua i concorrenti diretti ed indiretti, individua temi, elettorati, ASA (aree strategiche d’azione) per poter sviluppare un programma scandito sui temi più sentiti ed in linea con il tuo CV, con il tuo impegno e con la tua persona.

4- STRATEGIA

No, la campagna elettorale non è solo comunicazione. Accordi, programmi, sostegni, hanno bisogno di attenta considerazione. Studia le regole del gioco prima di giocare.

5- PROGRAMMA

Non lasciare nulla al caso. Avvicina intorno al tuo programma le risorse umane, economiche, e gli strumenti per poter portare avanti delle azioni condivise, efficaci ed impattanti.

6- PIANIFICA

La tua campagna deve essere riportata nero su bianco e considerare

a) Timing – quali tempi e in quanto tempo

b) Storytelling – quali temi

c) Frame – in che modo

d) Mood – quale insight trasmettere

7- MESSAGGIO

Chiaro, incisivo, unico e distintivo. Scegli un payoff che garantisca sintesi e trasversalità di riproduzione, facilità di propagazione. Sul cartaceo quanto sui social, deve essere un richiamo unico, coerente, rispetto alla tua persona, al tuo vissuto, al tuo programma, alla tua esperienza.

8- BRAND

Cura ogni aspetto della campagna come faresti per promuovere un brand. Tu ne sei il prodotto, e per stare sul mercato hai bisogno di un posizionamento chiaro e coerente. Da qui dipende l’uso degli strumenti di comunicazione, la scelta del comitato elettorale, toni, temi ed engagement che si potrà sviluppare con il tuo elettorato.

9 – MONITORA

Durante la campagna, fissa un giorno a settimana in cui monitori dati, raccogli informazioni. Crea un dataset composto da statistiche, accessi, flussi di dati provenienti da internet. Struttura un sito che possa avere delle call to action in grado di attirare sulle landing page i tuoi potenziali elettori. Analizza i dati dei social, metti a sistema le reazioni, il tenore dei commenti, e individua temi particolarmente sentiti.

10 – AGISCI / REAGISCI

Abbi la capacità di mettere in atto le indicazioni che arrivano da colleghi, amici, parenti, e soprattutto dai più soggettivi dati analizzati. Reagisci alle difficoltà, cerca di ribaltare alcune posizioni e situazioni scomode a tuo vantaggio. Rinforza i punti migliori evidenziandoli con lo stile che hai stabilito.

Se sei arrivato sin qui o sei un addetto ai lavori, o sei realmente interessato a vincere le elezioni amministrative. Alla prossima tornata non farti trovare impreparato CONTATTAMI anche sulla pagina Facebook

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Covid: tra profezie ed idiozie.

Parlare di covid è pratica comune, quotidiana, spesso inopportuna, sempre inappropriata, soprattutto se la professionalità fosse realmente un elemento di credibilità. Ma di questi tempi, anche la professionalità è una caratteristica insufficiente per la credibilità, smarrita dietro l’inseguimento della notorietà, delle ospitate in tv, dei libri in vendita, dei like e dei click.
Ed è così che, pur di ottenere visibilità si producono notizie, spesso contraddittorie, a volte infondate, ed in altri casi vere e proprie bufale. Ed è così, che si crea smarrimento, e si alimenta il proprio ego, ritenendo che, in tale caciara, la propria posizione possa essere valida tanto da difenderla quanto da diffonderla.


Ed è così, che il rapporto AstraZeneca-trombosi era solo un tema “no-vax”, salvo poi scoprire la relazione tra prima dose ed i casi scoperti negli under 50. Stessa platea a cui era stato consigliato il vaccino anglo-svedese, poi consigliato agli over 60, ormai terrorizzati. Ed è così, che prima “tutto chiuso”, poi “tutto aperto”, poi metà e metà. Così l’immunità di gregge con soglia al 70, poi all’80 ora al 90% dei vaccinati. Ma al 90 ci stiamo per arrivare, e quindi serve il “booster”, perché forse non hai più una buona risposta anticorpale, peccato che già si sapeva che il Pfizer non durasse 9-12 mesi, ma come tutti gli anti-influenzali la massima copertura va dai 3 ai 6 mesi. Eppure il greenpass dura 9-12 mesi, e chi glielo dice agli spavaldi vaccinati entro giugno, che adesso rischiano quasi quanto un non vaccinato.


E fatti il vaccino e non chiederti il perché, è gratis. No, costa 15 euro a dose e l’abbiamo già pagato con i soldi delle nostre tasse. Così come abbiamo già pagato il Sistema Sanitario Nazionale, e lo abbiamo pagato anche per i criminali, per gli alcolisti, per i fumatori, per i drogati, per gli incivili, anche se tu sei un Santo Vaccinato e giri senza mascherina tanto ormai sei uno dei Power Ranger. Ed il tampone vuoi che lo paghino i no vax? Ma il tampone serve a tutti, perché anche il vaccinato può contagiarsi e contagiare, ed è uno strumento di diagnosi che costa circa 2 euro ed è rivenduto come fosse in laccato in oro alla bellezza del prezzo “calmierato” di 15 euro.  

Ed è così, che risale la curva dei contagi e da metà novembre si parlerà di pressione negli ospedali, torneranno le zone gialle. Avremo circa l’85% di vaccinati, ma si darà la colpa ai non vaccinati che ormai sono un’inezia statistica, meno di 7 milioni di persone over 12. Allora si punterà il dito verso gli under 12, perché veicolo virale, così aumentando la platea diminuisce il numero di vaccinati e giù con la vaccinazione ai bambini dai 5 ai 12 anni.

Si rinforzerà la campagna per la terza dose, detta booster come da dizionario del marketing farmaceutico, che di fatto è un richiamo e andrà fatto una volta all’anno come tutti gli anti influenzali (corona).


La stagione, il contesto, la prossimità, il quadro clinico dei soggetti, la capacità di tracciare il contagio e la rapidità della diagnosi sono tutti criteri ritenuti buoni per la campagna no-vax, eppure dovevano appartenere ad una buona campagna di vaccinazione, non all’immaginario di una sparuta compagine di seguaci del fantasy horror.
Bisognava tener conto di tante cose, di tanti elementi. Bisognava vaccinare bene, abbiamo preferito vaccinare tanto.

E così, in un turbinio di farneticazioni, di no vax contro ultrà vax, di free pass contro green pass, di idiozie e di profezie, saremo ancora una volta coinvolti nella guerra che vinceremo solo dopo aver perso tutte le battaglie.

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Amministrative 2021: la situazione.

Il 3 e 4 ottobre si andrà a votare in 1.342 comuni, di cui 20 sono capoluoghi di provincia. Con l’attuale legge elettorale, nei comuni sotto i 15 mila abitanti, vincerà il candidato sindaco con maggiori preferenze, nelle città sopra i 15 mila, in assenza di una maggioranza superiore al 51% si andrà a ballottaggio.

Si andrà a votare con la solita incertezza, ma alcune considerazioni possono essere già fatti e con qualche pronostico che mi permetto di azzardare.


1- I leader sono tornati ad essere il centro della campagna elettorale.

I programmi e i progetti, lasciano spazio al clamore della star, alla piazza gremita, ai selfie. Nessuno escluso. 
E’ toccato anche a Giuseppe Conte, reo dell’investitura a leader del Movimento 5 Stelle, organizzare il tour dal sapore di tournee. Non più e non solo Salvini, che sdoganò il momento selfie, l’accoglienza da stadio, la folla che acclama e le tribù ballanti. Ora tocca a tutti, con diversa sorte, ma con piazze quasi sempre gremite, anche da controfigure piuttosto che vuote o photoshoppate.

2- Amici – nemici.

In Parlamento siedono quasi tutti insieme, in piazza se le suonano, nelle urne si accordano. Il detto marciare divisi per colpire uniti non è più una parola d’ordine, ora ci si muove in ordine sparso, città per città. Poi si vedrà. E’ il caso di PD e Movimento 5 Stelle, che creano giorno dopo giorno un fronte moderato-progressista, in cui però gli uni non si fidano molto degli altri. Lì dove il Movimento appoggia il PD sarà un trionfo, viceversa dove correranno sperati vedrete che randellate per il Movimento.

Stessa pratica per Lega Nord e Fratelli d’Italia. Alle prese con la bava alla bocca dei leader, in cui l’uno vuole essere più leader dell’altra, in un gioco al massacro fatto di nomine e candidature che neanche in un raduno di scappati di casa.

In tutti i casi arrivano i soldi del recovery fund, milioni di euro che le amministrazioni locali dovranno gestire. Vincere è bello, non perdere è meglio, perciò fair play.

3- Neo civismo.

La nuova strategia locale, trasversale, per evitare posizionamenti troppo rigidi, restare fluidi, a tratti liquidi. Il movimento del neo civismo è stato già sperimentato negli ultimi 10 anni, connotando però sempre delle identità e dei valori attinenti alla lista del candidato sindaco, perciò troppo esposta ad una scelta dicotomica: destra-sinistra, sindaco a o sindaco b. Il voto disgiunto favorisce la creazione di coalizioni con più liste, all’interno delle quali inserire sacche di voti, che confluiranno poi in apparentamenti con sorpresa finale. Il caso di Calenda a Roma è emblematico e vedremo quanti infiltrati nelle liste a sostegno di Raggi.

4- Astensionismo.

Il Governo Draghi, l’attesa per il Quirinale, il recovery fund, il post pandemia, sono fattori che hanno portato tutti ai blocchi di partenza, creando un unico blocco. Si fa fatica a rintracciare novità, anche lì dove le scelte definite coraggiose, ma in realtà scontate ed opportune, portano ad una crescita esponenziale, come nel caso di Giorgia Meloni, la cui leadership sembra chiusa all’interno delle mura di Fratelli d’Italia.

Salvini, silurato dall’interno, sembra perdere consenso e pezzi. Forza Italia con manovre ben più articolate si propone come forza di appoggio a chiunque purché non resti esclusa dalle principali poste in gioco. Conte è alla prima prova del fuoco, e dovrà osservare dove vince e dove perde. Una polveriera nella quale mi sento di anticipare che l’astensione sarà in netta crescita, ed il voto frammentato dai leader, polarizzato su alcune coalizioni.

5- Bipolarismo.

Il Movimento 5 Stelle aveva determinato la rottura dei due blocchi politici, contrapposti ma contigui, del centrodestra-centrosinistra. Adesso ne rideterminerà il ritorno. Come accaduto con la Lega Nord, il Movimento, per osmosi, travasa gran parte dei suoi consensi al partner (accadrà la stessa cosa con il PD).

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L’eterna transizione digitale.

E’ passato un ventennio da quando dicevamo “il futuro sarà digitale”. Venti anni, tanto tempo, troppo tempo, che ormai il futuro è passato. Ed eccoci qui, in fondo alle classifiche, alla fine di tutto, dopo di tutti. 

L’Italia ha un fatturato nel digitale di 48 miliardi di euro, la Germania 82, la Francia 91. 

Eccoci qui, con poche competenze, scarse risorse, nessun investimento.

Male nelle prestazioni della rete, malissimo nella distribuzione della connettività, pessimi nelle risorse umane per formazione di personale specializzato, ed anche per l’utilizzo basico della rete.

Oltre il 30% delle PMI non ha un sito, oltre il 40% non ha un e-commerce, oltre il 50% non ha affidato le attività ad un professionista specializzato, ma ha attribuito nuova mansione al personale, ovviamente quasi sempre autodidatta.

Sono dati estrapolati da più ricerche, nonché dall’ultimo report DESI (Digital Economy and Society Index) stilato annualmente dalla Commissione Europea. Non si vede un’indicatore che faccia orgoglio all’Italia, bloccata sempre nelle ultime 5-6 posizioni su 27.

Ed eccoci qui, con le PMI italiane che rappresentano l’80% delle imprese di questo Paese, nonché l’ossatura economica. La spina dorsale, prevalentemente a gestione familiare, pochi manager, tanti padri di famiglia. Scarsa attitudine ad investire, poca lungimiranza strategica, mancanza di visione. 

Così la pandemia ha spazzato via tanti operatori, tutti in sofferenza, pochi, troppo pochi, hanno compensato la perdita di fatturato del proprio core business, con lo sviluppo di attività parallele, digitali.

Non si tratta di abdicare al potere del proprio business, ne di perdere identità, ma di crearne un altro, un extended , che non subisca limiti, vincoli, di tempi, spazi e limitazioni imposte.

Ed eccoci qui, a furia di demonizzare Amazon, che ci siamo dati in pasto al colosso, ai colossi del web, che operano erodendo diritti ed eludendo il fisco grazie al dumping fiscale. 

Ed eccoci qui, che pur di non pianificare il futuro, ci siamo fatti fagocitare dal presente e nonostante il trend delle vendite online sia in crescita a doppia cifra da 5 anni consecutivi (la pandemia ha spinto verso un ulteriore balzo) l’Italia resta tra le ultime 5 in Europa. Nonché l’ultima tra le potenze mondiali. Eppure il mercato del digitale viene spinto da:

– hi tech

– Abbigliamento e accessori

– Food & beverage

– Made in Italy

Già, oltre il danno la beffa. Ci sono più intermediari che rivendono il Made in Italy che nostre imprese che lo fanno direttamente, per mancanza di un piano di marketing digitale.

Questa è colpa del “mio cugino fa siti”, o del “mio nipote smanetta su Instagram”. Questa è responsabilità di chi doveva da anni traghettare verso una transizione digitale che ormai, solo a parlarne sembra di discutere del ponte sullo stretto.

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